Non c’è nessuna intenzione di dare
la caccia alle streghe, di dire Questo ha
sbagliato o Quello ha diffuso informazioni
false. Si vuole solamente riprendere quello che per qualcuno è un eterno
dubbio, non per dissiparlo (non c’è bisogno: in materia di condominio solo i
profani e i dilettanti possono veramente, oggi, non sapere se e quando il DVR
sia obbligatorio ai sensi di legge), ma piuttosto per raccontare una normale
storia di condominio, dove la burocrazia e la superficialità sono protagoniste.
Tutto nasce nel 1997, quando
entra in vigore la versione definitiva del d.lgs. 626/1994, con la quale il
legislatore passa da un rapporto legge=risultato, che si sperava di raggiungere
nel dopoguerra con i grandi decreti tecnici del Presidente della Repubblica, ad
un rapporto legge=responsabilità, con l’intento – mutuato dalle leggi
comunitarie – di essere sempre in grado di individuare, a posteriori e tramite
documenti cartacei, i responsabili dei reati. Semplificando moltissimo, se il
dPR 547/1955 diceva quando e come si dovesse installare un parapetto
anticaduta, il d.lgs. 626/1994 chiedeva che ci fosse in azienda un testo
scritto in cui si valutasse se il parapetto c’era e come era installato, ed
anche almeno una persona competente a riconoscere nel tempo eventuali difetti
nel parapetto. Quel testo si chiamava Documento di Valutazione dei Rischi e
quella persona competente Responsabile del Servizio di Prevenzione e
Protezione: DVR e RSPP.
Con il passare degli anni e con
la lenta ma progressiva digestione, da parte di tutti gli attori, delle
richieste della nuova “legge 626”,
molti controlli da parte di organi di vigilanza si risolvevano in un veloce
sopralluogo e nella richiesta all’azienda di documenti, da sfogliare
velocemente ed archiviare. A redigere quei documenti una classe di tecnici
della sicurezza efficientissima nel produrre DVR impeccabili, magari voluminosi
e poco leggibili, ma rispettosi di tutte le richieste di legge: una perfetta
rappresentazione ideale di come gli ambienti di lavoro avrebbero dovuto essere,
spesso senza una correlazione tra realtà dei fatti e “realtà” cartacea.
Anche il mondo condominiale ha iniziato
a parlare, tramite convegni più o meno raffinati, della sicurezza dei dipendenti
portieri ed affini. Dopo le prime difficoltà interpretative, un paio di
circolari ministeriali e una sentenza di Cassazione nel 1998 hanno cominciato a
chiarire che il condominio, caso unico nel mondo lavorativo italiano, quando è
datore di lavoro di portieri o affini ha obblighi di sicurezza ridotti, non
dovendo applicare il d.lgs. 626/1994 in null’altro che gli articoli 21 e 22 –
informazione e formazione – e dovendo fornire al lavoratore protezioni e
attrezzature richieste dal dPR 547/1955: e quindi nessun DVR, nessun RSPP,
nessuna forma, ma solo sostanza. Già nel 1999 la Direzione Provinciale
di Milano – cioè l’ufficio locale del Ministero del Lavoro – suggeriva
informazioni da diffondere agli amministratori al fine di “evitare spiacevoli speculazioni commerciali”.
Dopo pochi anni di sostanziale
silenzio, utili a far dimenticare le indicazioni istituzionali, dal mercato dei
servizi è partita una poderosa campagna commerciale che ha fatto leva sul
dubbio, sulla presunta scarsa chiarezza della legge, sulle “pesanti responsabilità civili e penali
dell’amministratore”, per diffondere con successo l’idea che bastasse un
pezzo di carta, una nomina qualunque, per proteggere il datore di lavoro (nel
condominio con dipendenti individuabile nell’amministratore) dalle
ripercussioni in caso di infortunio.
La campagna, con una certa
genialità, è andata addirittura oltre: siccome i condomini datori di lavoro,
cioè con dipendenti, sono piuttosto pochi, si decise scientificamente che
l’amministratore fosse anche datore di lavoro dei lavoratori delle ditte in
appalto, cioè non solo committente ma anche datore di lavoro dell’ascensorista,
dell’elettricista, del caldaista. Una stupidaggine di questa dimensione era
talmente grossa che ha letteralmente sfondato e, col tempo, persino qualche
ente istituzionale e non, a digiuno di condominio e di sicurezza sul lavoro, ha
perseguito questa sconsiderata tesi, che vuole un committente diventare
automaticamente “datore di lavoro temporaneo” di “dipendenti occasionali”. Al
di fuori del mondo condominiale questa tesi non è stata mai raccontata a
nessun’altra categoria, qualcuno si chieda perchè.
Nel 2007 nasce il DUVRI (subito descritto
ambiguamente come qualcosa affine o alternativo al DVR, tanto per aumentare la
confusione) e l’anno dopo viene emanato il d.lgs. 81/2008, che cancella 626 e
547 e “rimodula la sicurezza sul lavoro”, soprattutto agli occhi attenti di chi
ha una sola visione del condominio, quella di un placido mare facilmente
pescoso. In realtà il decreto 81 conferma persino nel dettaglio tutto quanto previsto
in precedenza: in condominio è richiesta sostanza
e non forma, il DVR e il RSPP sono
obbligatori esclusivamente nei casi (rarissimi) in cui al lavoratore si
applichi un contratto di lavoro diverso da quello per dipendenti di fabbricati,
gli obblighi veri e sanzionati nei normali condomini con dipendenti riguardano
la formazione, l’informazione, la fornitura di protezioni ed attrezzature a
norma di legge, il coordinamento tra dipendente e appaltatori con redazione del
DUVRI (che non è il DVR). Incredibilmente,
secondo alcuni commentatori che nemmeno si rendono conto dell’incompetenza che
dimostrano, il d.lgs. 81/2008 non si occupa di chi non ha dipendenti. In realtà
questa apparente dimenticanza è in perfetta linea con tutte le leggi nazionali
da sempre: chi non ha dipendenti o equiparati non è mai stato e non è datore di
lavoro. Mai. Da sempre.
In queste ovvie direzioni si è
mosso per primo il Ministero del Lavoro, confermando nel 2010 le
interpretazioni più rigorose che riducono gli obblighi per un condominio con
dipendenti e che negano obblighi (cantieri edili a parte) per un condominio
senza dipendenti. E col tempo stanno anche uscendo interpretazioni di aziende
sanitarie locali (cioè l’organo di vigilanza, non Tiramolla) e sentenze di
merito e di Cassazione che dimostrano l’inutilità concreta del DVR e del RSPP
in condominio e l’impossibile equiparazione tra committente e datore di lavoro.
Lentamente, anche qui attendendo
il giusto perché i pareri ministeriali invecchiassero un poco, la macchina del
fumo si è rimessa in moto ed ancora oggi si leggono, si ascoltano, si devono
confutare “interpretazioni” di un testo di legge che non è affatto confuso, che
precisa per bene quali siano i limiti e le necessità in un condominio con
dipendenti e che ignora il condominio senza dipendenti perché non è tema di
sicurezza sul lavoro (come casa tua, Lettore).
All’amministratore superficiale
fa comodo illudersi che un “documento firmato da un tecnico” gli possa servire
in caso di danni. Non è bastato ribadire che la legge dice altro (sostanza e non forma) e spiegare che quel DVR per legge è indelegabile e quindi piuttosto
conviene che non ci sia, mancando l’obbligo, perché se c’è il DVR lo ha firmato
lui – l’amministratore – anche se c’è il timbro di un Dott. Prof. Ing. Arch.;
non è bastato spiegare che l’organo di vigilanza non sanzionerà mai per un
obbligo che non c’è, o che se anche per sbaglio lo facesse si vincerebbe il
ricorso (già fatto, non sono solo parole); non è bastato distogliere lo sguardo
dalla burocrazia per chiedere di concentrarsi sul gradino rotto, sul parapetto
alto il giusto, sul dipendente formato ed informato in modo corretto. L’Italia
è piena di condomini con voluminosi DVR (probabilmente mai letti), a volte
anche con RSPP, eppure con ambienti comuni ancora irregolari ed attestati di
formazione ridicoli e contestabili in ogni momento. Per questo possiamo dire grazie
a un buon numero di cattivi maestri.
Ma in fondo, statisticamente,
quanti sono gli amministratori condannati o anche solo sanzionati? Pochi. E
allora si prosegua così, producendo documenti inutili, non richiesti ed
addirittura pericolosi in caso di infortunio – leggeteveli, una buona volta:
avrete sorprese – sperando sempre che il vero guaio tocchi a qualcun altro.
Questa è la vera
(sotto)valutazione del rischio, non degna di un professionista.