lunedì 7 settembre 2009

Sentenza: il committente non deve occuparsi della sicurezza dei dipendenti dell'appaltatore

Cassazione penale, sezione IV, sentenza 9 luglio 2009, n. 28197: "ciascun datore di lavoro deve provvedere autonomamente alla tutela dei propri prestatori d'opera subordinati, assumendosene la relativa responsabilità".

Si tratta di un infortunio mortale di un lavoratore salito sul tetto di un capannone per la pulizia di una canna, senza legarsi al sistema di sicurezza esistente, caduto e deceduto. E' stato condannato il suo datore di lavoro ed assolto il committente, di cui le parti civili chiedevano la condanna, perchè l'art.7 del decreto 626/94 (vigente al momento dell'evento: oggi sarebbe l'art.26 del d.lgs. 81/08 e s.m.i.) non chiedeva al committente di vigilare sulla sicurezza degli appaltatori.
Prima di lasciare spazio al testo della sentenza ricordiamo che, in caso di osservata e riconosciuta situazione di pericolo, il committente deve intervenire e chiedere il rispetto della sicurezza di qualunque lavoratore; ma questo non vuole dire che, se il lavoratore viola leggi sulla propria sicurezza, il committente ne è in qualche modo responsabile. La sentenza è decisamente condivisibile; altre non lo furono in passato, come per esempio questa.

Dalla sentenza Cass. Pen. n.28197/2009:
"L'ordinamento giuridico attribuisce all'appaltatore un'autonoma sfera organizzativa e pieni poteri decisionali, con la conseguenza che egli, al pari di qualsiasi altro datore di lavoro, diventa destinatario principale del dovere di provvedere alla tutela della salute e dell'integrità fisica dei propri dipendenti. Ebbene, la norma dell'art. 7 - dopo avere previsto per il committente (nel comma 1, lett. a) “l'obbligo preliminare di verifica della idoneità tecnico-professionale dell'impresa appaltatrice a cui affidare l'incarico”, dal che potrebbe scaturire la culpa in eligendo - richiama (nel comma 1, lett. b) il dovere di fornire all'appaltatore e ai lavoratori autonomi, chiamati ad operare all'interno dell'azienda, “dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate per combatterli”. Gli aspetti più innovativi della norma - non correttamente valutati dalla odierna parte civile ricorrente - sono, però, quelli contenuti nel comma 2, dove si prevede che i datori di lavoro (cioè sia i committenti, sia gli appaltatori) cooperino all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e coordinino gli interventi prevenzionali, “informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva”.
Mentre coordinare significa “collegare razionalmente le varie fasi dell'attività in corso, in modo da evitare disaccordi, sovrapposizioni, intralci che possono accrescere notevolmente i pericoli per tutti coloro che operano nel medesimo ambiente; cooperare è qualcosa di più, perché vuol dire contribuire attivamente, dall'una e dall'altra parte, a predisporre ed applicare le misure di prevenzione e protezione necessarie”.
Questa cooperazione, però, non può intendersi come obbligo del committente di intervenire in supplenza dell'appaltatore tutte le volte in cui costui ometta, per qualsiasi ragione, di adottare le misure di prevenzione prescritte a tutela soltanto dei suoi lavoratori, poiché la cooperazione, se così si intendesse, si risolverebbe in un'inammissibile ingerenza del committente nell'attività propria dell'appaltatore al punto di stravolgere completamente la figura dell'appalto.
(...) Ne consegue che, qualora per la natura e le caratteristiche dell'attività commissionata, questa si possa svolgere in una zona o in un settore separato, senza che i rischi si estendano fino a coinvolgere i dipendenti del committente, quest'ultimo non ha alcun motivo di intervenire sull'appaltatore per esigere da lui il rispetto della normativa di sicurezza, surrogandosi allo stesso, qualora non vi provveda, o revocando l'incarico e interrompendo il rapporto.
La cooperazione, in altri termini, deve ritenersi doverosa per eliminare o ridurre la fascia, spesso molto ampia, dei rischi comuni ai lavoratori delle due parti, mentre, per il resto, ciascun datore di lavoro deve provvedere autonomamente alla tutela dei propri prestatori d'opera subordinati, assumendosene la relativa responsabilità
".